Biblioteca (lettura pubblicata dalla BBT the bhaktivedanta book trust international)



APATEISMO: Una nuova tendenza insignificante dello scetticismo
di Satyaraja Dasa

C’è un nuovo termine teologico coniato dagli eruditi e dagli storici della religione: apateismo. Si riferisce alle persone che non mostrano alcun interesse, specialmente quando si tratta di Dio. E se ci riflettiamo, non sono neanche pochi. In questa era moderna di discordia e d’ipocrisia, in genere la gente non si occupa affatto di Dio – non Ne discute, non pensa a Lui, né si chiede se esista. A differenza dell’agnosticismo a cui l’apateismo può essere immediatamente paragonato, esso non prende posizione sull’esistenza di Dio, né sul fatto di poter sapere se c’è un Dio o no. Esso semplicemente afferma...il niente. È indifferente, e implica, perlomeno a livello sottile, che Dio è irrilevante, una cosa del passato, una sciocchezza che non merita il nostro tempo. “Perché mai pensarci? Perché interessarsene?” Come afferma il filosofo Jonathan Rauch nel suo recente articolo su The Atlantic (“Let it Be” del 3 aprile del 2010): L’apateismo riguarda non quello che si crede ma come si crede.

In questo senso esso differisce dai concetti standard usati per descrivere le concezioni religiose e le persone che le seguono. L’ateismo, per esempio, non è affatto simile all’apateismo; l’ateo convinto si occupa della religione quanto il cristiano evangelico, ma nella direzione opposta... La tolleranza è un concetto meraviglioso, il dono inestimabile di John Locke a tutto il genere umano; ma essa presume, come fece Locke, che che tutti siano pieni di passione religiosa. Francamente tutto il ragionamento è privo di valore. È quasi incomprensibile non credere in Dio – a causa di una delusione o di un modo di vedere deprimente. Oppure suggerire che non è possibile sapere con certezza se Dio esiste o no, ma se una persona ammette che in realtà esiste un Essere Supremo, allora che senso ha ignorarLo o affermare che non è importante? Questo è il Suo mondo; Egli lo ha creato. Riflettete su questo: se andate a casa di qualcuno, non è giusto conoscere chi vi ospita e avere con lui rapporti cordiali? Che cosa ci facciamo lì se non sappiamo chi è il proprietario? E qualunque sia il mistero dell’esistenza – e chiaramente c’è – sembra che conoscere Dio rappresenti un passo importante verso la soluzione di questo mistero.


Apatia primordiale

Naturalmente l’apatia nei riguardi di Dio non è una cosa nuova. In molti sensi essa costituisce l’origine dell’esistenza materiale. Quando gli esseri viventi sviluppano indifferenza verso Dio, si legano all’esistenza materiale e una delle principali funzioni di maya, l’energia illusoria, è permettere loro di farlo. Vogliamo essere un’imitazione di Dio e il mondo materiale viene creato perché qui possiamo rappresentare la nostra drammatica illusione; questo è il vero scopo per cui c’incarniamo continuamente. In un’intervista pubblicata nell’Harmonist, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura disse: L’energia inferiore stordisce le jiva [anime] che sono indifferenti nei confronti di Dio sin da prima dell’inizio del tempo e provoca in loro un fraintendimento, assumendo a volte la forma dei “ventiquattro ingredienti ingredienti dell’essere“ di Kapila (il fondatore del sistema Sankhya), a volte quella dell’”atomo” di Kanada (del sistema Vaisesika), a volte anche quello del principio dell’ “elevazione” di Jaimini (nel sistema Purva Mimamsa), a volte di nuovo nella la forma dei “sedici oggetti” di Gautama (nel sistema Nyaya), a volte come “potere sovrumano e assoluta unità con Dio” di Patanjali (nel sistema dello Yoga) e a volte come simulazione di ricerca del Brahman (della scuola di Sankara).

In parole povere tutto ciò significa che numerose scuole di pensiero – qui Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura enumera come esempi tutte le maggiori scuole dell’India – sono state concepite in modo tale che gli esseri viventi potessero dimenticare Dio o sviluppare apatia nei Suoi confronti, consentendo loro in questo modo di esibire la loro imitazione di Dio. Gli atei moderni, gli agnostici e anche gli apateisti condividono molte delle nozioni di questi tradizionali pensatori indiani e delle loro scuole, anche se in modo meno sistematico. La conclusione però è sempre la stessa: come posso dimenticare il fatto che sono per natura servitore di Dio e che la vita è fatta per servirLo? A parte tutto, chi desidera davvero essere indifferente a qualcosa (o a qualcuno) tanto importante quanto Dio? Egli è la nostra origine e dà il vero scopo all’esistenza.


Il Morto Vivente

Il termine apatia ha origini greche e letteralmente significa “mancanza di sentimenti”. Si può sperimentare la vita – essere davvero vivi – senza sentimenti? Victor Hugo scrisse: “Morire è niente; è non vivere che è spaventoso.” In altre parole, c’è qualcosa che ci spaventa di più del fatto di morire – è la prospettiva di non vivere. Le persone apatiche sono realmente vive, oppure, in un certo senso, sono morti viventi? Così lo psicologo e sociologo tedesco, Erich Fromm, si espresse in merito: “Nel diciannovesimo secolo il problema era ‘Dio è morto’; nel ventesimo secolo è che ‘l’uomo è morto’.” L’apatia è una spada a doppio taglio che ferisce sia la persona indifferente sia la società in cui essa vive. L’apatia ha un terribile potere negativo e l’apateismo ne è la forma peggiore, perché è rivolto all’entità che più di tutte merita la nostra attenzione, il nostro interesse. Qual è la causa dell’apatia?

Generalmente sono la frustrazione e un senso d’impotenza che fanno allontanare le persone dalla vita o fanno sì che abbandonino le cose importanti – come Dio. La causa ultima però è la loro attitudine, il modo in cui reagiscono al mondo e alle cose che li circondano. La causa dell’apatia non è di per sé qualcosa in particolare, ma è il modo condizionato di reagire di una persona ad ogni cosa. Come Rauch ci dice nel suo articolo su Atlantic: In America...la percentuale delle persone che dichiarano di non andare mai in chiesa o alla sinagoga si è triplicata dal 1972 fino al 33 per cento del 2000. La maggior parte di queste persone hanno fede in Dio (l’ateo che si dichiara tale è molto raro negli Stati Uniti); semplicemente non si occupano molto di Lui. Se Ne occupano pochissimo, ma l’apateismo è un’attitudine e non un sistema di fede e il fatto più importante è che queste persone non si pongono il problema della religione. Perfino coloro che frequentano regolarmente la chiesa possono, e spesso lo fanno, raggiungere alti livelli nella scala dell’apateismo.

Ci sono moltissime ragioni per frequentare le cerimonie religiose: collegarsi con una cultura o una comunità allo scopo di socializzare, presentare la religione ai propri figli, trovare il caldo conforto di una ritualità familiare. In America le confessioni religiose meno impegnative sono molto frequentate dagli apateisti. Le parole di Rauch sono molto significative. Egli elenca correttamente le ragioni superficiali per avvicinarsi a Dio. Queste ragioni non sono sbagliate o improprie, sono semplicemente di tipo inferiore. Anche Prabhupada parla di questo: Questa è ... l’indicazione dello Srimad Bhagavatam (1.2.6)... : “L’occupazione suprema [dharma] per l’uomo è quella che conduce al servizio d’amore e devozione al Signore trascendentale. Questo servizio di devozione deve essere ininterrotto e incondizionato per soddisfare completamente l’anima.” Yato bhaktir adhoksaje. La parola bhakti nasce dalla stessa radice bahj, la radice della parola bhajate [adorazione].

La prova che una religione è di prima classe è se ci fa sviluppare o no il nostro amore per Dio. Se pratichiamo la religione con motivazioni diverse, sperando di soddisfare le nostre necessità materiali, la nostra religione non è di prima classe, ma di terza. Si deve capire che la religione di prima classe è quella per mezzo della quale possiamo sviluppare il nostro amore per Dio. Ahaituky apratihata. La religione perfetta deve essere seguita senza altre motivazioni o difficoltà. Questo è il sistema yoga consigliato nello Srimad-Bhagavatam e nel Sesto Capitolo della Bhagavad-gita. Questo è il metodo della coscienza di Krishna. (Il Sentiero dello Yoga, Capitolo 8) In breve, le persone diventano indifferenti nei confronti di Dio perché Lo avvicinano con motivazioni di livello inferiore.


Hari Sauri Dasa, che ha trascorso un lungo periodo di tempo come segretario personale di Prabhupada, scrive: Prabhupada ha più volte condannato l’attitudine con cui generalmente le persone si avvicinano a Dio. Egli ha spiegato che in India all’arati si canta tradizionalmente un canto che ripete le parole sab ko sampatti de bhagavan. De bha - gavan significa “Dio, dammi” e in Occidente ha spiegato che anche i cristiani hanno la stessa idea. “In tutto il mondo,“ ha fatto osservare Prabhupada “le persone hanno accettato Dio come Colui che obbedisce agli ordini: io ordino, Tu esegui. Così anche la chiesa cristiana: “Dio, dacci oggi il nostro pane quotidiano.” (Un Diario Trascendentale, vol. 1) Questa è la vera causa dell’apateismo: non sapere chi è Dio, né come avvicinarLo. Il Movimento per la coscienza di Krishna è stato fondato per porre rimedio a questa situazione. Se familiarizziamo con la forma supremamente affascinante di Krishna, l’apatia resterà milioni di chilometri lontana. Se impariamo ad impegnarci con entusiasmo al Suo servizio – invece di chiedere che cosa Lui può fare per noi – l’apatia nella spiritualità sarà eliminata. La coscienza di Krishna è il rimedio più sicuro contro l’apateismo. Dobbiamo semplicemente cercare di applicarla alla nostra vita.
Satyaraja Dasa, discepolo di Srila Prabhupada, un editore associato di BTG. Ha scritto più di venti libri sulla coscienza di Krishna e abita vicino a New York City.